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L'atto suicidario non è il frutto di una decisione lineare causa-effetto, ma il manifestarsi di un certo assetto dell'anima e della struttura psichica. Tale assetto è caratterizzato da due problematiche interconnesse: l'impossibilità di dialettica, quale humus della vita psichica e forza per l'attivazione delle motivazioni, e il depauperamento dell'esperibilità, quale spazio in cui operano le motivazioni. La disposizione suicidaria è non solo un alienarsi del soggetto dal passato e dalla futuribilità, ma soprattutto un'alienazione del suo corpo da ogni "dove", da ogni possibile spazio mentale e ambientale di sollievo e contenimento della sofferenza. Una psicologia dell'esistenza si muoverà dunque, oltre ogni facile suggestione empatica, in un'ottica fenomenica capace di esplorarne la spazialità specifica. La questione cruciale è dove esistere, in quali spazi mentali vivere.